La tradizione, la moda, la scienza.
Quando si parla di preparazione atletica per gli sport da combattimento (specialmente nella boxe) ci si imbatte spesso in metodologie “vecchia scuola” fatte soltanto di corsa, salto della corda e “vuoto” con i pesetti – e i pesi, quelli veri, no perché rallentano, ovviamente-, oppure al contrario nella moda di “allenamento funzionale” che spesso di funzionale non ha nulla, fatto soltanto di battle rope, bosu, e kettlebell che pesano quanto un portachiavi. O ancora capita che si usino i pesi, si, ma scimmiottando il bodybuilding, disciplina che ha tutt’altra finalità.
Fortunatamente negli ultimi anni si sta sviluppando (o forse riscoprendo) corrente più scientifica ed efficace, che prende in considerazione ciò che funziona davvero, affidandosi in parte alla tradizione, ma quella vera che univa scienza e pratica sul campo (ed in Italia possiamo vantarci di avere avuto dei grandi esempi da seguire come il prof. Carmelo Bosco, ed anche il grandissimo prof Yuri Verkhoshansky è passato dal nostro Paese lasciando un’impronta), ed in parte alle conferme che la più recente letteratura di oltre oceano ha dato.
Ma quindi, cos’è che è necessario davvero fare, per preparare un atleta di sport di combattimento al meglio?
Due componenti.
Lasciamoci aiutare dalla definizione che gli americani danno della preparazione fisica per lo sport: “Strength and Conditioning”. Il discorso che segue sarà contestualizzato per i combat sports, ma è in realtà valido praticamente per tutti gli sport “misti”, non prettamente di forza e non prettamente di endurance, ma che hanno componenti di entrambi.
Abbiamo detto che la definizione si compone di due termini, che andiamo ad analizzare:
Strength, letteralmente Forza.
Non lasciamoci fuorviare dalla terminologia, forza è “forza massima” ma non solo, ci sono diversi tipi di espressione di forza.
A cosa serve la componente forza al nostro alteta che sale sul ring?
Semplificando, una base di forza massima è utile, o potremmo dire indispensabile, per andare poi a costruirci sopra la forza specifica.
Migliorare tutte le componenti (principalmente neurali e neuromuscolari) che consentono di esprimere forza, avrà un grande transfer poi nel nostro gesto specifico.
Dunque allenare la forza (in primis quella massimale) consentirà di migliorare il reclutamento delle unità motorie (in termini semplici di “attivare” tutte le nostre fibre muscolari, che compongono, insieme al motoneurone, proprio l’ “unità motoria”), la coordinazione intermuscolare (quindi la capacità di attivare in maniera coordinata queste unità motorie, esprimendo quindi più forza) e la coordinazione intermuscolare, (l’azione coordinata di tutti i muscoli che si attivano in modo sinergico nel compiere un determinato gesto).
Raggiunto un certo livello di forza (massima) avremo allenato queste capacità, e potremo concentrarci su espressioni di forza specifiche.
Ma quanta forza?
Quanta forza massimale serve? Parlando in generale di sport da combattimento, ci riferiamo ad un ampio spettro di discipline. La risposta quindi è: dipende da quale specifico sport pratichiamo. Uno dei fattori principali è il tempo di applicazione della forza. Maggiore è questo tempo, maggiori saranno i livelli di forza utili.
Nelle discipline di grappling, spingo e tiro l’avversario, e resisto ai suoi tentativi di applicare forza su di me. Il tempo di applicazione della forza sarà quindi maggiore rispetto a quello dello striking, quindi livelli maggiori di forza massima saranno utili.
Se parliamo invece di sport dove si portano colpi (boxe e kickboxing, ad esempio), il tempo di applicazione della forza sarà minore, quindi ci potremmo accontentare di livelli di forza massima leggermente minori (ma attenzione, abbiamo detto che è la base, quindi va comunque allenata!) e potremo passare prima ad allenare la forza specifica.
Forza specifica, appunto, ma di cosa parliamo?
Anche qui, dipende dallo sport praticato: se parliamo di striking, ovviamente dovremmo sviluppare la forza esplosiva/veloce, nel grappling può essere utile anche lavorare sulla resistenza alla forza.
Nei prossimi articoli vedremo i mezzi e metodi specifici per allenare i vari tipi di forza.
Passiamo alla seconda componente: il Conditioning.
Cosa si intende?
Ci sarebbe da fare una distinzione tra “livello di fitness” e “conditioning” dell’atleta, in quanto nel secondo caso sono da considerare anche i fattori ambientali (ne parleremo) semplifichiamo dicendo che in genere quando si fa “conditioning” si intende l’allenamento dei sistemi energetici. Ancora più semplicemente (e banalizzando un po’, per forza di cose) ciò che consente all’atleta di avere il “cardio” e il fiato per sostenere il ritmo del match.
Qui negli ultimi anni c’è la moda dell’high intensity interval training, lavori brevi, intervallati, ad altissima intensità.
Questi sono indubbiamente lavori utili, ma non devono essere gli unici: è importante infatti costruire un’ottima base aerobica che supporti sia la performance che il recupero tra i round, e questa può essere costruita sia con il classico “andare a correre” che con metodi più specifici. Anche in questo caso nei prossimi articoli entreremo maggiormente nel dettaglio.
Per concludere, quindi:
Ci sono due aspetti della preparazione fisica che vanno considerati: costruire una base di forza, prima massima e poi esplosiva o resistente a seconda della disciplina, e mettere su un buon livello di condizionamento dei sistemi energetici che ci permetta di reggere il ritmo del match.
La vecchia scuola dell’andare a correre e poi lavorare solo con i guantoni può essere utile fino a un certo livello, ma se si vuole eccellere non è abbastanza: è necessario una preparazione fisica seria, completa e basata sulla fisiologia dell’atleta!
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ps. Sei un’atleta di sport da combattimento che vuole essere seguito per migliorare la sua performance? Contattami per richiedermi una consulenza, ti potrò seguire sia live che a distanza!
Marco Testa – Chinesiologo e Biologo Nutrizionista
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